Pmi italiane. Quanto (culturalmente) digitali?

E quanto cresce l’e-commerce?

E’ sdoganato il concetto che le Pmi italiane, per un giusto processo di digitalizzazione, debbano acquisire una cultura digitale. Non basta “parcheggiare” sulla certezza che le tecnologie aprono ad opportunità infinite.

Competenze digitali sì e primariamente. Purché associate all’apertura al cambiamento.

Pmi italiane in affanno

In Italia, le Piccole e medie imprese producono più del 41 per cento dell’intero fatturato.

Giacché è proprio dal livello di digitalizzazione delle Pmi che si misura lo stato della trasformazione digitale di un Paese, valutare quanto qui le aziende di piccole e medie dimensioni siano digitalizzate comporta sbirciare i numeri.

Dal DESI (invitiamo alla lettura dell’articolo “Qual è lo stato di digitalizzazione delle PMI italiane?“) emerge un livello di digitalizzazione delle Pmi italiane al di sotto della media europea.

Non ci sorprende. Perché?

Siamo in ritardo. Le infrastrutture tecnologiche, in generale la digitalizzazione interna, muovono i primi timidi passi.

L’e-commerce?

Anche le vendite online entrano nel trend, ma oggi – benchè meno di una piccola e media impresa italiana su dieci venda on-line i suoi prodotti – molte si preparano al debutto nell’e-commerce.

Anche qui sbirciamo. Secondo l’Osservatorio Market Watch PMI, realizzato su un campione rappresentativo di poco più di 600 imprese italiane, il 35% del campione valuta l’apertura di una piattaforma digitale nei prossimi 12 mesi.

Certi aspetti della trasformazione digitale sono stati per forza di cose accelerati. Quelli mirati in particolare all’efficientamento delle risorse, alla riduzione dei costi, a garantire flessibilità nel lavoro.

Evidentemente anche quelli volti ad accrescere le vendite su web: il 26% delle aziende ha utilizzato l’e-commerce negli ultimi 12 mesi, per proseguire l’attività durante il blocco delle “aperture fisiche”.   

I ricavi on line di una Pmi corrispondono al 9% del fatturato complessivo, un dato che per 6 imprese su 10 è in aumento rispetto al 2019.

Quali sono i settori più attivi nell’e-commerce?

– l’agroalimentare (19%);

– la moda (16%);

– la chimica-farmaceutica (16%).   

La spinta al commercio digitale proviene, per il 29%, dalla volontà di “rendere più semplice l’attività di vendita a clienti esteri”.

Aspetti sì, aspetti no

Impatto ambientale

L’aspetto sì è che con l’e-commerce, le confezioni fatte scegliendo packaging riciclati o riciclabili hanno ridotto la quantità di materiali impiegati destinati all’imballaggio.

Aggiornamento di sistemi informativi e dotazione tecnologica

L’aspetto no della vendita on-line deriva, viceversa, dal dato percentuale (45%) riscontrato nella gestione del magazzino, nella difficoltà di formare il personale demandato a occuparsi del servizio e nella certificazione della sicurezza dei pagamenti.

Sembrano d’ostacolo anche le difficoltà logistiche (15%), gli elevati costi di implementazione (9%), la mancanza di competenze interne (8%).

L’accelerazione del marketing on-line va, allora, addebitata ad un approccio reattivo alla crisi da eventi pandemici, contingente, accidentale?

Ad ogni buon conto, la chiave è passare all’approccio di lungo periodo; strutturale, stabile. Come?

Attraverso una condizione durevole di competitività digitale, estesa a tutti i processi aziendali; rivedendo, intanto, i modelli di business per assicurarsi continuità.

In definitiva, attuare la “qualità della presenza digitale” quale pilastro strategico nelle Pmi italiane comporta una trasformazione culturale tramite un processo di promozione e sviluppo ad ampio spettro delle competenze digitali.

Fonte: ANSA

Fonte: Osservatori.net

Fonte: Digital 4