Lavoro agile, anche Fondazione Studi CdL sui buoni pasto
Sul lavoro agile e gli aspetti fiscali di una tra le più diffuse forme di retribuzione in natura, che sono i buoni pasto, la Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro pubblica un interessante ed attuale Approfondimento (25 febbraio 2021).
Attuale nella misura in cui ha preso le mosse dai chiarimenti che di recente l’Agenzia delle Entrate ha fornito proprio circa l’inquadramento fiscale dei buoni pasto in relazione allo smart working, istituto che dai primi mesi del 2020 si è diffuso tanto rapidamente a seguito degli eventi pandemici ancora in atto.
Lo smart working è, in definitiva, la modalità di attuazione della prestazione lavorativa che il Legislatore emergenziale ha utilizzato per consentire il lavoro da casa nel periodo del lockdown, senza che la finanza pubblica subisse costi diretti.
L’ha reso applicabile – per la durata dello stato d’emergenza dai datori di lavoro – ad ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi della L. n. 81/2017 anche in assenza degli accordi individuali richiesti dalla norma stessa.
L’ha poi istituzionalizzato (dl “Rilancio”), semplificandone le modalità e legandone l’applicabilità allo stato di emergenza.
Ma la mancanza di una disciplina derivante da accordi individuali e regolamenti aziendali ha condotto ad una deregolazione di questo istituto in ordine a molteplici aspetti, tutti ripresi dall’approfondimento della Fondazione Studi CdL.
Lavoro agile, deregolata anche la disciplina sui buoni pasto
La disciplina dei cosiddetti buoni pasto è tra gli aspetti critici di questa deregolamentazione.
La risposta ad interpello n. 123/E/2021 del 22 febbraio scorso ha offerto alla Fondazione Studi “lo spunto per prevedere una riforma che ne faciliti l’utilizzo a tutela dei lavoratori e delle imprese, in chiave di efficientamento e rispetto delle condizioni di conciliazione fra vita lavorativa e privata.”.
Rimandando alla lettura integrale dell’Approfondimento del 25 febbraio 2021, redigo.info concentra l’attenzione sul paragrafo dei presupposti civilistici dei buoni pasto, benché siano interessanti gli altri sulle evidenze giurisprudenziali in materia e sulle conclusioni cui l’Agenzia delle Entrate è giunta nella richiamata risposta, ovvero che i buoni pasto riconosciuti ai lavoratori agili non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente ai sensi dell’art. 51, comma 2, lettera c) del TUIR, con ciò confortando i datori di lavoro la cui struttura si è organizzata in modalità smart working.
I buoni pasto, o ticket restaurant, sono indirettamente definiti nella disciplina degli appalti (dlgs n. 50 del 2016, art. 144, c. 3). Vi si legge che l’emissione di buoni pasto è “attività finalizzata a rendere per il tramite di esercizi convenzionati il servizio sostitutivo di mensa aziendale”.
Le previsioni normative sui ticket non individuano un obbligo di erogazione. Il datore di lavoro è libero di concederli unilateralmente con regolamento aziendale.
La giurisprudenza, scrive la Fondazione Studi, inquadra “più correttamente la derivazione civilistica dei buoni pasto nel nostro ordinamento” tornando ad affermare il principio di diritto sintetizzato nell’ordinanza n. 16135/2020 della Suprema Corte: la natura dei buoni pasto non li configura come elemento della retribuzione “normale”, bensì alla stregua di un’agevolazione di carattere assistenziale collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale, pertanto al di fuori del trattamento retributivo in senso stretto.
Da tale presupposto deriva che il regime regolatorio della loro erogazione può essere variato anche unilateralmente dal datore di lavoro, qualora
la loro elargizione non si inserisca all’interno di un accordo sindacale.