Smart workers e buoni pasto, ritenuta?

Agli smart workers – i dipendenti che svolgono l’attività lavorativa in modalità di “lavoro agile” – possono essere assegnati buoni pasto in sostituzione del servizio mensa.

In questi casi, qual è il corretto trattamento fiscale cui sottoporre i servizi sostitutivi delle somministrazioni di vitto?

L’interpretazione affidata alla risposta n. 123/E/2021, condivide la soluzione prospettata dall’istante: i buoni pasto erogati, in smart working come in presenza, non vanno sottoposti a ritenuta d’acconto perché non rappresentano, salvo eccezioni, una parte della retribuzione corrisposta al lavoratore (articolo 6, comma 3, Dl n. 333/1992).

Rientrano, invece, tra i servizi sostitutivi della mensa e in quanto tali parzialmente esenti, secondo quanto previsto dall’articolo 51, comma 2, lettera c) Tuir.

Proprio quest’ultima disposizione esenta dall’imposta sui redditi, per intero o in parte, la somministrazione diretta (anche tramite terzi) dei pasti, o anche le indennità o le prestazioni sostitutive della mensa come i buoni pasto, esenti:

– fino a 4 euro giornalieri se cartacei;

– fino a 8 euro se elettronici.

Scopo dell’agevolazione è detassare le erogazioni ai dipendenti finalizzate a soddisfare le esigenze alimentari del personale che durante l’orario di lavoro deve consumare il pasto.

Smart workers e buoni pasto: cosa dispone il MiSE?

La prestazione di servizi sostitutivi di mensa, sotto forma di buoni pasto, ha rilevanza reddituale.

Nello specifico, l’articolo 4 del decreto Mise n. 122/2017, stabilisce che i buoni pasto:

a) consentono al titolare di ricevere un servizio sostitutivo di mensa di importo pari al valore facciale del buono pasto;
b) consentono all’esercizio convenzionato di provare documentalmente l’avvenuta prestazione nei confronti delle società di emissione;
c) sono utilizzati esclusivamente dai prestatori di lavoro subordinato, a tempo pieno o parziale, anche qualora l’orario di lavoro non prevede una pausa per il pasto, nonché dai soggetti che hanno instaurato con il cliente un rapporto di collaborazione anche non subordinato;
d) non sono cedibili, né cumulabili oltre il limite di otto buoni, né commercializzabili o convertibili in denaro e sono utilizzabili solo dal titolare;
e) sono utilizzabili esclusivamente per l’intero valore facciale.

Dalla lettura della norma emerge che i buoni pasto possono essere corrisposti con molta elasticità. Il datore di lavoro può assegnarli ai dipendenti assunti sia a tempo pieno che a tempo parziale e anche se l’articolazione dell’orario di lavoro non prevede una pausa per il pranzo. Confini così ampi sono determinati dalla consapevolezza che sempre più stanno affermandosi forme lavorative flessibili.

L’Agenzia osserva che pur non essendo la disposizione riportata dall’articolo 4 del Dm n. 122/2017 di natura tributaria, essa assume rilevanza fiscale dal momento in cui fa riferimento alle stesse prestazioni sostitutive del servizio mensa, considerate esenti dall’articolo 51, comma 2, lettera c), del Tuir.

Osserva, altresì, che la mancanza di vincoli alla possibilità di erogare buoni pasto da parte del datore di lavoro fa ritenere che, a prescindere dall’orario e dalle modalità di lavoro attuate, a tali prestazioni sostitutive del servizio di mensa possa essere applicato il regime di parziale imponibilità previsto dalla lettera c), comma 2, dell’articolo 51 del Tuir.