Lavoro intermittente e contrattazione collettiva

Lavoro intermittente. L’Ufficio legislativo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con note prot. n. 930 e n. 931 del 1° febbraio 2021, ha fornito importanti indicazioni in ordine al relativo campo di applicazione.

Una prima indicazione riguarda il ruolo della contrattazione collettiva, chiamata ad individuare le esigenze che giustificano il ricorso a tale tipologia contrattuale “anche con riferimento alla possibilità di svolgere le prestazioni in periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno”.

La sentenza della Corte di Cassazione n. 29423 del 13 novembre 2019, riferendosi alla disciplina che ha definito l’istituto del lavoro intermittente (d.lgs n. 276/2003), ha messo in evidenza la circostanza secondo cui alle parti sociali è affidata l’individuazione delle sole “esigenze” che giustificano il ricorso a tale tipologia contrattuale.

Anche il Ministero del lavoro ha posto in rilievo come “alle parti sociali non sia stato riconosciuto alcun altro potere al di fuori di tale particolare aspetto e, in special modo, il potere di interdire l’utilizzo di tale tipologia contrattuale nel settore regolato”.

Ne consegue – è scritto nella circolare INL n. 1 dell’8 febbraio 2021 – la necessità di conformarsi alla pronuncia della Suprema Corte, nel senso di non tener conto, nell’ambito dell’attività di vigilanza, di eventuali clausole sociali che si limitino a “vietare” il ricorso al lavoro intermittente.

In tali casi – ferme restando le indicazioni già fornite in altre occasioni in ordine all’inefficacia delle clausole contrattuali in materia di lavoro intermittente da parte di contratti sottoscritti da soggetti privi del requisito della maggiore rappresentatività in termini comparativi – occorrerà quindi verificare se il ricorso al lavoro intermittente sia invece ammissibile in virtù della applicazione delle ipotesi:

– c.d. oggettive individuate nella tabella allegata al R.D. n. 2657 del 1923 ovvero

– c.d. soggettive, ossia “con soggetti con meno di 24 anni di età, purché le prestazioni lavorative siano svolte entro il venticinquesimo anno, e con più di 55 anni”.

Lavoro intermittente e autotrasporto

La questione è collegata a quella concernente la possibilità di ricorrere al lavoro intermittente nel settore dell’autotrasporto.

Il Ministero del lavoro ha al riguardo chiarito che l’attuale contrattazione collettiva di settore non contiene specifiche previsioni in ordine alla individuazione delle “esigenze” per le quali è consentita la stipula del contratto intermittente.

Di conseguenza – ferma restando l’eventuale presenza di ipotesi c.d. soggettive – si deve fare riferimento alla citata tabella allegata al R.D. n. 2657 del 1923 che, tra le attività da considerare di carattere discontinuo annovera, al punto 8, quella del “personale addetto al trasporto di persone e di merci: personale addetto ai lavori di carico e scarico, esclusi quelli che a giudizio dell’ispettorato dell’industria e del lavoro non abbiano carattere di discontinuità”.

Stante la formulazione della disposizione, il Ministero ha argomentato che la discontinuità è dunque riferibile alle attività del solo personale addetto al carico e allo scarico, quale ulteriore “sotto categoria” rispetto a quanti sono adibiti al trasporto tout court, “con esclusione delle altre attività ivi comprese quelle svolte dal personale con qualifica di autista”.