Trattamenti di integrazione salariale emergenziale: un costo

Il prolungamento del divieto di licenziamento sino a fine 2021 a causa del protrarsi dell’emergenza sanitaria comporta limitazioni all’iniziativa economica tutelata dall’articolo 41 della nostra Costituzione.

A compensare il divieto dovrebbero provvedere i trattamenti d’integrazione salariale emergenziale.

Apparentemente, tali trattamenti non avrebbero costi per le imprese.

Ma, riferisce la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro in un approfondimento dedicato, anche in ipotesi di totale sospensione dell’attività lavorativa, l’accesso agli ammortizzatori sociali legati alla crisi epidemiologica da COVID-19 non è gratuito.

Trattamenti di integrazione salariale emergenziali: costi per le aziende. Perchè?

Fermo l’azzeramento del contributo richiesto dalla “normativa ordinaria” per i periodi di cassa integrazione fruiti dall’azienda, permangono comunque oneri a carico dei datori di lavoro.

GLI ONERI DEL DATORE DI LAVORO

Innanzitutto, per la totale durata della sospensione il Tfr continua a maturare sulla retribuzione che il dipendente avrebbe percepito se avesse svolto la propria prestazione lavorativa.

In particolare, ai sensi dell’art. 2120 c.c. “in caso di sospensione della prestazione di lavoro nel corso dell’anno per una delle cause di cui all’articolo 21102 del codice civile, nonché in caso di sospensione totale o parziale per la quale sia prevista l’integrazione salariale, deve essere computato nella retribuzione di cui al primo comma l’equivalente della retribuzione a cui il lavoratore avrebbe avuto diritto in caso di normale svolgimento del rapporto di lavoro”.

L’efficacia di questa disposizione comporta un onere significativo a carico dei datori di lavoro, che incide a prescindere dall’effettiva prestazione del lavoratore in questi mesi emergenziali.

Ad esempio, scrive la Fondazione Studi, nel settore metalmeccanico industria il costo medio mensile, a titolo di trattamento di fine rapporto, a carico dell’azienda per singolo dipendente – che muta in considerazione dei diversi livelli contrattuali – può variare da euro 120,64 mensili per un lavoratore inquadrato al livello 3°, ad euro 144,47 per il dipendente inquadrato al livello 5° S.

Di più: le disposizioni di cui all’art. 2, commi da 31 a 35, della legge 28 giugno 2012, n. 92, hanno disciplinato il c.d. ticket di licenziamento.

Più nel dettaglio, la norma ha disposto che, nei casi di interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato per le causali che
darebbero diritto alla NASpI, è dovuta, a carico del datore di lavoro, una somma pari al 41% del massimale mensile di NASpI per ogni dodici mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni.

Trattamenti di integrazione salariale emergenziale: anzianità di servizio

Ancora un elemento da considerare: durante il periodo di trattamento integrativo, l’anzianità di servizio non si sospende, pertanto tutti gli istituti ad essa collegati e previsti dai diversi contratti collettivi – quali, a titolo esemplificativo, scatti di anzianità, periodo di comporto, diversa maturazione dei ratei di ferie, etc. – continueranno a produrre i loro effetti.

Inoltre, a completamento dell’analisi è bene ricordare che i principali CCNL prevedono altri istituti che possono incrementare ulteriormente gli oneri a carico delle aziende in tale periodo, tra i quali indicativamente la Fondazione Studi cita i contributi ai fondi sanitari o agli enti bilaterali.

Da ultimo, i CdL rammentano che in aggiunta ai suddetti oneri direttamente connessi al periodo correlato alla crisi sanitaria, le aziende, negli anni passati, in relazione al proprio settore e al numero di dipendenti in forza, hanno contribuito a finanziare i fondi per i trattamenti ordinari di integrazione salariale, non propedeutici tuttavia alla fruizione dei trattamenti emergenziali.