Garanzia Italia, opportunità non opportuna
La misura governativa c.d. “Garanzia Italia” introdotta dal Dl “Liquidità”, che ha potenziato il Fondo di garanzia per contrastare le esigenze di liquidità di imprese e professionisti che affrontano le conseguenze dell’epidemia da COVID-19, si sostanzia nell’allocazione, tramite SACE, di 200 miliardi di euro come garanzia dello Stato su talune tipologie di finanziamento erogate ad imprese e professionisti entro la fine dell’anno.
C’è un “ma”: ai primi di settembre, sono stati erogati 12,7 mld. Più della metà di questa sconcertante somma riguarda 3 operazioni:
- FCA;
- Fincantieri;
- Oviesse.
Se l’obiettivo governativo dichiarato è favorire la ripartenza degli investimenti e facilitare la ripresa del credito bancario i numeri decisamente allarmano, non consentendo una serena ripresa agli attori di questa strategia di riavvio. Possono, questi, sperare in una proroga temporale della misura che scavalchi il 2020? Anche fosse, sarebbe la soluzione?
Già, perché nell’ipotesi in cui il risultato deludente provenisse dalla natura della misura, fosse quindi endogeno, lo slittamento temporale non risolverebbe.
Stimolati da fonti web accreditate, veniamo a conoscenza di 3 possibili problemi legati alla liquidità delle imprese:
1 – Valutazione del merito creditizio
Il problema 1 scaturirebbe dal processo di richiesta della garanzia.
Essa viene effettuata dal finanziatore solo dietro valutazione positiva della richiesta dell’impresa. Ebbene, la valutazione del merito creditizio resta sostanzialmente basata su bilanci ante-covid; conseguentemente, gli Istituti bancari non sono in grado di liberarsi da un’incertezza ancora alta per erogare nuovi finanziamenti a soggetti che non siano a bassissimo rischio, prescindendo dalla garanzia. Chi ci rimette? Soprattutto le imprese più piccole.
La nostra fonte prospetta una soluzione: una revisione drastica della valutazione del merito di credito delle imprese, svincolata dalle modalità tradizionali, e l’inserimento di dati prospettici che facciano meno affidamento su quelli storici. Alternativa più percorribile nel breve termine: coinvolgere direttamente SACE nel primo screening dei finanziamenti, in ottica di condivisione del rischio.
2 – Tempi di esecuzione
Il problema 2 deriverebbe dalle tempistiche del processo. Vero che la richiesta di garanzia è un processo integralmente digitale e che l’approvazione viene comunicata entro 48 ore, tuttavia i tempi massimi indicati da SACE ai finanziatori per erogare il prestito sono di 30-45 giorni dal momento dell’approvazione: non sostenibili per le imprese in questo momento storico. In sostanza, il lasso temporale appena rivelato inibirebbe a priori l’avvio della richiesta.
Anche qui una proposta risolutiva della criticità, intuibile: riduzione dei tempi di esecuzione, da raggiungere da un lato includendo tra i finanziatori alcuni operatori fintech (meglio se offrono soluzioni di finanziamento del capitale circolante), per loro natura veloci nell’erogazione del servizio; dall’altro imponendo tempistiche più ferree ai finanziatori tradizionali.
3 – Approccio delle imprese
Terzo ed ultimo problema è l’approccio cautelativo delle imprese italiane. Questo, però, ci vien da rimarcare, è un aspetto anche introspettivo, che proverrebbe non tanto e non solo dalla impossibilità quanto dal rifiuto di indebitarsi ulteriormente, dovendo per di più considerare che la garanzia statale ha un costo per il beneficiario. Il trend attuale sarebbe piuttosto cercare di preservare la propria liquidità a fronte del calo del fatturato, segnatamente estendendo o ritardando i tempi di pagamento verso i fornitori. L’indicazione consigliata è in questo caso creare la consapevolezza degli “impatti nefasti sulla filiera dell’imporre politiche o abitudini di pagamento vessatorie”; segue la speranza, quindi il suggerimento, che le operazioni di Supply Chain Finance, capaci di supportare le imprese nell’ottimizzazione dei flussi di cassa, vengano considerate in misura più inclusiva dal nostro Governo.