Fiscalità internazionale. Viaggio nei dividendi di fonte estera
Se il contribuente sceglie di non avvalersi dell’imposizione sostitutiva, sui redditi di capitale corrisposti da soggetti non residenti a soggetti residenti compete il credito per le imposte assolte all’estero in via definitiva. La scelta non è percorribile in relazione ai dividendi di fonte estera. Nondimeno, anche in questo caso, il credito è riconosciuto quando i dividendi provengono da un Paese con il quale sia in vigore un trattato in cui non sia prevista espressamente la non spettanza del medesimo, laddove l’applicazione della ritenuta (o dell’imposizione sostitutiva) sia obbligatoria secondo le norme italiane.
La disposizione deriva dal Testo Unico delle Imposte sui Redditi (art. 18). Su essa una Norma di comportamento (227/2025) AIDC.
Modi alternativi di assoggettamento a tassazione dei dividendi di fonte estera
I dividendi di fonte estera percepiti da persone fisiche residenti, al di fuori del regime d’impresa, sono assoggettati a tassazione attraverso due alternative modalità, a seconda che siano percepiti:
a. direttamente dal contribuente all’estero, con assoggettamento a dichiarazione con imposizione sostitutiva in misura eguale alle ritenute a titolo d’imposta che sarebbero applicate se tali redditi fossero corrisposti da sostituti o intermediari italiani, dei redditi di capitale di cui si parla;
b. per il tramite di un intermediario residente, nel qual caso questi dovrà obbligatoriamente applicare una ritenuta d’imposta sui dividendi, al netto delle ritenute applicate dallo Stato estero (c.d. netto frontiera).
La circostanza che l’articolo 18 del TUIR non contenga uno specifico riferimento alla determinazione della base imponibile alla quale applicare la tassazione, è stata
costantemente interpretata dalla prassi agenziale nel senso che l’imposizione sostitutiva deve essere applicata all’utile distribuito dal soggetto non residente al lordo delle eventuali ritenute operate all’estero a titolo definitivo.
Peraltro, il comma 1 dell’articolo accorda al contribuente la facoltà, per l’appunto, di non avvalersi del regime di imposizione sostitutiva, subordinando il riconoscimento del credito d’imposta di cui sopra all’esercizio di tale facoltà.
La possibilità di optare per la tassazione ordinaria, tuttavia, è esclusa per le distribuzioni di utili distribuiti da società (ed enti) non residenti a persone fisiche (e assimilati) residenti, in relazione a partecipazioni al capitale (o al patrimonio), derivanti dal possesso di azioni (e titoli assimilati).
Un’interpretazione letterale del dettato normativo, dalla quale consegua la preclusione all’utilizzo del meccanismo di scomputo delle imposte estere, però, comporterebbe l’esposizione a fenomeni di doppia imposizione sui soggetti residenti, che percepiscono utili da società (o enti) residenti all’estero.
Qui viene in aiuto la giurisprudenza di legittimità, con indirizzo ormai consolidato: occorre ristabilire il corretto rapporto gerarchico tra norme internazionali di fonte convenzionale e normativa interna. In tale necessaria prospettiva, la disposizione convenzionale che prevede che la detrazione sia esclusa solo nel caso in cui l’elemento di reddito sia assoggettato in Italia a prelievo a titolo d’imposta su richiesta del beneficiario, è naturale prevalga sulle norme interne incompatibili. Dal che deriva che il diritto allo scomputo delle imposte estere spetta nelle ipotesi in cui l’assoggettamento a imposizione mediante imposta sostitutiva non avvenga su richiesta del beneficiario, ma sia obbligato dalla norma domestica e il contribuente non possa accedere all’imposizione ordinaria.
Dal tenore letterale della disposizione pattizia, infatti, si desume che il credito relativo all’imposta corrisposta nella giurisdizione straniera debba essere considerato detraibile quando l’assoggettamento a imposizione mediante ritenuta o mediante imposta sostitutiva (posto che la seconda assolve alla stessa funzione della prima) discenda da un obbligo di legge e non dall’esercizio di una facoltà del contribuente.
L’interpretazione giurisprudenziale trova indiretta conferma nella diversa formulazione del testo di alcuni recenti accordi bilaterali contro le doppie imposizioni conclusi con altri Paesi, che prevedono che “nessuna detrazione sarà accordata ove l’elemento di reddito venga assoggettato in Italia ad imposizione mediante imposta sostitutiva o ritenuta a titolo di imposta, ovvero ad imposizione sostitutiva con la stessa aliquota della ritenuta a titolo di imposta, anche su richiesta del contribuente, ai sensi della legislazione italiana”. Sottolinea la Cassazione che la locuzione “anche su richiesta del contribuente” indica che quando l’Italia ha inteso negare il credito d’imposta non solo nei casi in cui l’assoggettamento dell’elemento di reddito a imposta sostitutiva o a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta avvenga
su richiesta del contribuente, ma anche nei casi in cui esso sia obbligatorio in base alla legge italiana, lo ha previsto espressamente.
Pertanto, il diniego del credito d’imposta non può essere esteso alle fattispecie regolate dai trattati che non lo dispongono espressamente.
Tanto premesso, la persona fisica residente che, al di fuori del regime del reddito d’impresa, percepisca utili già assoggettati a tassazione all’estero, ha diritto al corrispondente credito d’imposta, escluso solo il caso in cui il trattato in vigore con l’altra giurisdizione non ne precluda espressamente il riconoscimento.
Redazione redigo.info