E’ nullo il patto di non concorrenza non determinabile

Il Tribunale di Milano boccia la domanda del datore di lavoro volta ad accertare la validità del patto di non concorrenza concluso con il lavoratore il cui corrispettivo era stato determinato in misura fissa su base annua senza determinazione o determinabilità di durata nel tempo di erogazione.

Quantum ontologicamente indeterminabile

Secondo i giudici della Corte territoriale, la stipula di un patto di non concorrenza che preveda un vincolo di impegno a fronte della corresponsione annua della somma pattuita, da erogarsi in dodici mensilità, non è idonea – al momento della stipula del patto stesso – a consentire una quantificazione certa dell’ammontare del patto di non concorrenza, anche in ragione del rapporto a tempo indeterminato intercorrente tra le parti, sicché il quantum appare ontologicamente indeterminabile rispetto alla durata effettiva del rapporto di lavoro.

Invero, ai sensi dell’art. 2125, Codice Civile, il patto con il quale si limita lo svolgimento dell’attività del prestatore di lavoro, per il tempo successivo alla cessazione del contratto, è nullo se non risulta da atto scritto, se non è pattuito un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro e se il vincolo non è contenuto entro determinati limiti di oggetto, di tempo e di luogo.

La ratio della citata norma è contemperare gli interessi di tutela del datore di lavoro rispetto allo svolgimento di attività concorrenziali di ex lavoratori e gli interessi del lavoratore, che limita la spendibilità della propria professionalità a fronte del pagamento di un congruo corrispettivo.

In tale ottica, il patto di non concorrenza deve prevedere, a pena di nullità, oltreché la forma scritta, un corrispettivo predeterminato nel suo preciso ammontare già al momento della stipula, di importo congruo rispetto al sacrificio richiesto al lavoratore quale corrispettivo per la rinuncia al diritto al lavoro dotato di garanzie costituzionali.

Pertanto i corrispettivi erogati a tale titolo, laddove siano legati alla durata indeterminata del rapporto di lavoro, conferiscono elementi di aleatorietà e indeterminatezza tali da configurare un premio fedeltà piuttosto che un corrispettivo limitativo della libertà di spendere la propria professionalità.

Dello stesso orientamento la sentenza n. 15952/2004, con cui la Corte di Cassazione ha osservato che la durata del patto deve essere ai sensi del primo comma (…) delimitata ex ante, avendo la norma il chiaro intento di bilanciare i sopradetti interessi contrapposti di cui il lavoratore deve avere sicura contezza, fin dall’assunzione dell’impegno.

Altri requisiti del patto di non concorrenza

L’art. 2125, Codice Civile, non individua precisi limiti sulla tipologia di attività precluse al lavoratore.

Ciò assunto, il patto di non concorrenza può avere ad oggetto qualsiasi attività lavorativa in concorrenza con il datore di lavoro con il limite, però, di non comprimere ogni completa esplicazione della concreta professionalità del lavoratore tale da compromettere la possibilità di assicurarsi un guadagno idoneo alle esigenze di vita.

Quanto al requisito della durata, il predetto art. 2125, Codice Civile, limita la durata del vincolo a cinque anni se si tratta di dirigenti ed a tre anni negli altri casi. Eventuali clausole di durata superiore devono intendersi nulle con conseguente applicazione dei limiti prescritti dalla norma. Nei casi di non indicazione dei termini di durata, il periodo di vigenza sarà quello previsto dalla norma, salvo diversa valutazione di congruità del giudice.

A maggior completezza rispetto al quantum del corrispettivo pattuito, devono considerarsi nulli i patti che prevedano compensi non proporzionati al sacrificio richiesto, sicché la valutazione di congruità dovrà essere valutata con riferimento alle mansioni ed al ruolo ricoperto dal lavoratore nella compagine aziendale, l’eventuale presenza di vincoli territoriali e la loro estensione, la durata, il numero dei possibili datori di lavoro concorrenti.

Come detto pocanzi, nessun corrispettivo potrà tuttavia precludere ad ogni possibilità d’impiego.

Quanto alle modalità di pagamento, il compenso pattuito potrà essere corrisposto sia a cadenze prefissate durante lo svolgimento del rapporto di lavoro (anche mensilmente) che interamente o ratealmente alla cessazione del rapporto di lavoro, non rilevandosi particolari criticità.

Certo è che nei casi in cui si opti per la corresponsione mensile in costanza di rapporto, sarà opportuno prevedere nell’accordo stesso la somma minima garantita, da corrispondersi nelle ipotesi di cessazione anticipata rispetto alle modalità di erogazione pattuite.

Tribunale di Milano – Sentenza n. 1189 del 28 aprile 2021 (pubbl. il 26.05.2021)