Decreto Dignità alla luce dei dati
Decreto Dignità. Il nuovo approfondimento della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro (9 marzo 2021), passa in rassegna i dati INPS ed ISTAT sull’occupazione per tirare le somme in ordine agli effetti prodotti dall’introduzione decreto.
DECRETO DIGNITÀ ALLA LUCE DEI DATI INPS
Ad un anno dall’operatività del decreto, il saldo delle posizioni lavorative è stato di +338 mila unità. Nei 12 mesi precedenti, di +420 mila unità.
Fondazione: a seguito di un’attenta analisi dei dati forniti dall’Inps è possibile valutare che numerosi datori di lavoro, al fine di ottemperare alle disposizioni introdotte, hanno anticipato la stabilizzazione di molti contratti temporanei non più prorogabili.
Parimenti, allo scopo di gestire la componente di lavoro non stabilmente impiegata nei processi produttivi aziendali, gli stessi datori di lavoro hanno utilizzato differenti istituti.
Dall’analisi delle variazioni nette per tipologia di contratti dei dati Inps, nel periodo di riferimento da luglio 2018 a giugno 2019, emerge quanto segue:
1) l’aumento dei contratti a tempo indeterminato (+353 mila) è dovuto anche all’effetto delle 655 mila trasformazioni di contratti a termine.
Si ipotizza che in molti casi si sia trattato di un anticipo della stabilizzazione del lavoratore, in quanto l’incidenza media delle trasformazioni sui contratti a tempo indeterminato è passata dal 25% al 35% (nel periodo che va da luglio 2018 a giugno 2019) per poi scendere al 30% nel semestre successivo;
2) Per effetto delle trasformazioni i contratti a termine diminuiscono di 184 mila unità e diminuiscono anche i contratti in somministrazione (-10 mila);
3) aumentano i contratti in apprendistato (+77 mila);
4) aumentano i precari non interessati dai vincoli del decreto Dignità: contratti stagionali (+50 mila) e contratti intermittenti (+50 mila).
DECRETO DIGNITÀ ALLA LUCE DEI DATI ISTAT
Nei primi 12 mesi di vigenza del decreto Dignità, benché confermato un aumento generale dell’occupazione di 114 mila occupati (+0.5%), tale incremento è caratterizzato dalla diminuzione del tempo indeterminato di 53 mila unità (-0,4%) e da un ampliamento di 142 mila occupati a termine (+4,9%).
La Fondazione Studi precisa che il citato aumento dell’occupazione nel primo anno di vigenza del decreto Dignità risulta essere più che dimezzato se raffrontato con l’analogo periodo immediatamente precedente (luglio 2017 – giugno 2018), in cui si era registrato un incremento di 279 mila unità (+1,2%).
A conclusione della disamina sulle disposizioni introdotte dal decreto Dignità e alla luce dei risultati ottenuti, i Consulenti del Lavoro ritengono sia utile chiedersi se tali disposizioni rispondano alle esigenze di un mercato del lavoro in repentina evoluzione (anche a causa della pandemia) e se tutelino le categorie di lavoratori svantaggiati coinvolti dalle politiche occupazionali incentivanti introdotte negli ultimi anni.
Segnali la categoria coglie dallo stesso legislatore che, allo scopo di consentire ai datori di lavoro di gestire con più flessibilità i rapporti di lavoro durante
l’ultimo anno, ha apportato temporanee ma significative modifiche derogatorie alla disciplina dei contratti a termine.
Sebbene per espressa previsione normativa il rapporto di lavoro subordinato trovi la sua forma comune nel contratto a tempo indeterminato, scrive la Fondazione, i contratti a termine, purché in un’ottica di utilizzo virtuoso, possono rappresentare uno strumento volto a soddisfare le esigenze dei datori di lavoro e dei lavoratori.
In tal senso, considerate le valutazioni statistiche sopra argomentate, emerge l’incapacità di innescare processi reali di consolidamento del lavoro che, malgrado continui interventi volti ad incentivare il ricorso al lavoro a tempo indeterminato, vede crescere il ricorso alla flessibilità.
La rigidità in entrata non stabilizza il mercato del lavoro
Il mercato del lavoro – leggiamo in chiusura – non si stabilizza attraverso la rigidità in entrata, ma creando condizioni che rispondano ai nuovi modelli organizzativi, contraddistinti da una concezione del lavoro più flessibile e da una maggiore innovazione delle dinamiche produttive nelle imprese.