ISTAT, Covid-19: report sulla situazione delle imprese

L’ISTAT pubblica un Report sulla situazione e le prospettive delle imprese nell’emergenza sanitaria Covid-19.

Tra giugno e ottobre 2020 il fatturato si è ridotto per oltre due terzi delle imprese.

La seconda edizione della rilevazione “Situazione e prospettive delle imprese nell’emergenza sanitaria Covid-19”, svoltasi tra il 23 ottobre e il 16 novembre 2020, è stata condotta con l’obiettivo di aggiornare le informazioni raccolte nella prima edizione e consentire nuove valutazioni in merito agli effetti della pandemia sull’attività delle imprese e le loro prospettive.

Nel Report vengono diffuse tempestivamente a cittadini, operatori economici e decisori pubblici, evidenze statistiche di elevata qualità su come le nostre imprese stanno vivendo questa difficile fase della storia del Paese, con particolare riferimento all’impatto economico, finanziario e alle prospettive future.

Attenzione è stata data alle conseguenze che l’emergenza sanitaria ha avuto sull’utilizzo delle tecnologie digitali da parte delle imprese, così come all’importanza per le imprese delle misure adottate fino a giugno 2020.

ISTAT: i numeri del report

Quattro quinti delle imprese oggetto di indagine (804 mila, pari al 78,9% del totale) sono microimprese (con 3-9 addetti in organico), 189 mila (pari al 18,6%) appartengono al segmento delle piccole (10-49 addetti) mentre sono circa 22 mila quelle medie (50-249 addetti) e 3 mila le grandi (250 addetti e oltre) che insieme rappresentano il 2,6% del totale.

Più della metà delle imprese è attiva al Nord (il 29,3% nel Nord-ovest e il 23,4% nel Nord-est), il 21,5% al Centro e il 25,9% nel Mezzogiorno.

Nel corso della rilevazione, il 68,9% delle imprese ha dichiarato di essere in piena attività, il 23,9% di essere parzialmente aperta – svolgendo la propria attività in condizioni limitate in termini di spazi, orari e accesso della clientela.

Il 7,2% ha invece dichiarato di essere chiuso: si tratta di circa 73 mila imprese, che pesano per il 4,0% dell’occupazione.

Di queste, 55 mila prevedono di riaprire mentre 17 mila (pari all’1,7% delle imprese e allo 0,9% degli occupati) non prevedono una riapertura.

L’85% delle unità produttive “chiuse” sono microimprese e si concentrano nel settore dei servizi non commerciali (58 mila unità, pari al 12,5% del totale), in cui è elevata anche la quota di aziende parzialmente aperte (35,2%). Le attività sportive e di intrattenimento presentano la più alta incidenza di chiusura, seguite dai servizi alberghieri e ricettivi e dalle case da gioco.

Una quota significativa di imprese attualmente non operative si riscontra anche nel settore della ristorazione (circa 30 mila imprese di cui 5 mila non prevedono di riprendere) e in quello del commercio al dettaglio (7 mila imprese). Il 28,3% degli esercizi al dettaglio chiusi non prevede di riaprire rispetto all’11,3% delle strutture ricettive, al 14,6% delle attività sportive e di intrattenimento e al 17,3% delle imprese di servizi di ristorazione non operative.

ISTAT: Mezzogiorno il più penalizzato

Tra le imprese attualmente non operative, quelle presenti nel Mezzogiorno sono a maggior rischio di chiusura definitiva: il 31,9% delle imprese chiuse (pari a 6 mila unità) prevede di non riaprire, rispetto al 27,6% del Centro, al 23% del Nord-ovest e al 13,8% del Nord-est (24% in Italia).

CIG la misura più utilizzata

Il ricorso alla Cassa integrazione guadagni (Cig) o ad analoghi strumenti di sostegno dal lato del costo del lavoro, quali il Fondo integrazione salariale (Fis), rappresenta ancora la misura più utilizzata dalle imprese per fronteggiare gli effetti dell’epidemia Covid-19 (41,8% delle unità).

La circostanza che tale strumento risulti oggi utilizzato in misura meno massiccia rispetto allo scorso maggio, quando riguardava il 70% delle imprese, è anche il riflesso del recupero dell’attività economica registrato nei mesi successivi al lockdown.

E lo smart working?

In generale, l’utilizzo dello smart working/telelavoro sembra legato agli sviluppi attesi della crisi sanitaria: le imprese di tutti i macrosettori prevedono di incrementare progressivamente la quota di personale coinvolto nell’ultima parte del 2020, per poi ridurla ‒ senza tuttavia tornare ai livelli iniziali ‒ nel corso dei primi tre mesi del 2021.

L’incidenza degli occupati a distanza appare inoltre influenzata dalle specifiche caratteristiche dei processi produttivi: in corrispondenza dei picchi previsti a novembre-dicembre 2020, raggiunge il 20,1% nelle attività industriali, il 25,0% nelle costruzioni, il 30,8% nel commercio, il 45,5% nei servizi di mercato, il 41,2% negli altri servizi.

Più in dettaglio, nei mesi finali del 2020 questa modalità di impiego potrebbe coinvolgere oltre la metà del personale dei settori di consulenza e direzione aziendale, editoria e trasmissione, pubblicità/marketing, telecomunicazioni, trasporto aereo e marittimo, e oltre il 60% di quello delle agenzie di viaggio, consulenza informatica, R&S, fornitura di personale.

Ad ogni buon conto, nonostante il perdurare della crisi il 25,8% delle imprese (che occupano il 36,1% degli addetti) è orientata ad adottare strategie di espansione produttiva.