Fondazione CdL sulla gestione del lavoratore in CIG

Con un approfondimento del 26 aprile, la Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro analizza l’aspetto del periodo Covid legato all’aumento diffuso del ricorso agli ammortizzatori sociali.

L’andamento irregolare del mercato del lavoro è correlato – scrivono i Consulenti – ad un considerevole interesse dei lavoratori che fruiscono dei trattamenti di integrazione salariale emergenziali, nello svolgere contemporaneamente e per un determinato periodo diverse attività lavorative con l’obiettivo, tuttavia, di non privarsi dei diritti strettamente legati al rapporto di lavoro in essere.

Questa fattispecie è regolata dall’art. 8, co. 2 del D.Lgs. n.148/2015, a mezzo del quale il legislatore ha disposto che il lavoratore che svolge attività di lavoro autonomo o subordinato durante il periodo di integrazione salariale, non ha diritto al trattamento per le giornate di lavoro effettuate.

Diritto al trattamento di integrazione salariale emergenziale

Se ne desume che lo svolgimento di attività lavorativa, remunerata durante il periodo di sospensione del lavoro con diritto all’integrazione
salariale, non comporta la perdita del diritto al trattamento integrativo per l’intero periodo; comporta, viceversa, la sola riduzione dell’integrazione medesima in proporzione ai redditi derivanti dallo svolgimento di altra attività lavorativa.

Ai fini dell’applicazione di questo principio – presumendo che in caso di attività lavorativa subordinata la retribuzione e la quota d’integrazione salariale si equivalgano – in ipotesi di attività lavorativa autonoma grava sul lavoratore, al fine del riconoscimento del diritto a mantenere l’integrazione salariale per la differenza, l’onere di dimostrare che il compenso percepito per detta attività sia inferiore all’integrazione salariale stessa.

Fondazione CdL: resta il divieto di concorrenza

In proposito, i professionisti evidenziano che il rapporto di lavoro con l’azienda che fruisce dei trattamenti di integrazione salariale, benché temporaneamente sospeso, non fa decadere il divieto di concorrenza nei confronti dello stesso datore di lavoro, specialmente quando previsto dal contratto individuale di lavoro, quindi indennizzato.

Sul tema, l’approfondimento pubblicato richiama la previsione di cui all’art. 8, co. 3 del già citato D.Lgs. n. 148/2015, con cui il legislatore ha disposto che il lavoratore decade dal diritto al trattamento di integrazione salariale nel caso in cui non abbia provveduto a dare preventiva comunicazione (alla sede territoriale Inps) dello svolgimento dell’attività lavorativa.

Quest’obbligo di comunicazione preventiva a carico del lavoratore interessato sussiste anche nei casi in cui la nuova occupazione generi un reddito compatibile con il godimento del trattamento di integrazione salariale ed incombe per ogni attività di lavoro subordinato o autonomo, anche non riconducibile allo schema contrattuale di cui agli art. 2222 ss. e 2230 ss. del codice civile e, più in generale, per qualunque attività potenzialmente remunerativa, anche se in concreto non abbia prodotto alcun reddito o l’Inps ne abbia avuto comunque tempestiva notizia da parte del nuovo datore di lavoro.

Seguono nel documento, debitamente elencate, le principali circostanze in cui si riscontrano: la totale cumulabilità della remunerazione collegata alla nuova attività con l’integrazione salariale; una parziale cumulabilità dei redditi da lavoro con l’integrazione salariale; infine, l’incompatibilità tra la nuova attività lavorativa e l’integrazione salariale.

Fonte: Fondazione Studi Consulenti del Lavoro