Consulenti: l’Italia riparte dal Lavoro con 5 proposte
Consulenti, 5 proposte per una ripresa reale.
I Consulenti del Lavoro propongono una mirata serie di interventi che è urgente attuare, dalla semplificazione delle regole e degli istituti
del lavoro ai nuovi modelli organizzativi, dalla riforma degli ammortizzatori a quella delle politiche attive, fino alle misure necessarie per garantire maggiore regolarità in una fase in cui il rischio di ripresa dei fenomeni di sommerso è molto elevata.
Ci sembra interessante che alle riforme prospettate in diversi ambiti faccia da premessa l’attuale quadro normativo, per una disamina che i Consulenti del lavoro gestiscono per fornire ogni elemento valutativo sul presente e sul possibile futuro.
1. Consulenti, mercato del lavoro: semplificazione e nuovi modelli organizzativi
Smart working
E’ necessaria innanzitutto una operazione “culturale” attorno allo smart working, valorizzandone le caratteristiche fondamentali di flessibilità organizzativa, che rappresentano l’essenza dell’istituto, tradotte nel nostro ordinamento con il lavoro agile di cui all’art. 18 della L. n. 81/2017 e, partendo da questa base normativa:
– valorizzare l’attribuzione di autonomia che la legge riconosce alle parti, implementando le previsioni della citata L. n. 81/2017 per quelle che sono le esigenze di tutela, meglio definendo i contorni del diritto alla disconnessione, la distribuzione delle responsabilità rispetto alle obbligazioni di tutela della salute e della sicurezza e la previsione dell’infortunio, soprattutto rispetto alla fattispecie in itinere;
– definire il ruolo delle relazioni industriali nell’ambito dell’impianto regolatorio del lavoro agile, sì che la funzione fondamentale delle rappresentanze sindacali, necessaria ai fini della concertazione relativa ai diritti fondamentali, non debordi nel campo dell’autonomia delle parti, necessaria ai fini della garanzia dell’essenza di flessibilità che caratterizza lo smart working e che è riconosciuta dalle norme sul lavoro agile;
– privilegiare la contrattazione collettiva aziendale, ai fini della definizione di protocolli di accesso al lavoro agile che, senza irrigidirne l’essenziale natura, ne semplifichi il ricorso.
Flessibilità nel contratto a termine
La ricerca del giusto equilibrio tra regolamentazione e flessibilità può avvenire lungo il seguente percorso:
– conferma della possibilità dell’apposizione del termine al contratto di lavoro subordinato, senza la necessità di giustificarne le ragioni, quando la sua durata complessiva non sia superiore a 12 mesi;
– previsione, per i contratti la cui durata risulti superiore a 12 mesi e non superiore a 24, della necessità dell’inserimento delle ragioni giustificatrici dell’apposizione del termine che prevede la durata individuata dalle parti, senza però che sia richiesta la sussistenza di quelle caratteristiche di straordinarietà ed eccezionalità adesso contenute dalle causali previste dal decreto dignità.
Il ricorso al contratto a tempo determinato ben può essere vincolato alla richiesta della giustificazione della previsione di tale limite, attraverso una formulazione normativa più ampia in fatto ma non meno rigorosa in diritto, che, senza qualificare a priori quali possano essere le esigenze economico-produttive che richiedono l’apposizione del termine, ne imponga tuttavia l’indicazione esplicita e puntuale nel contratto medesimo, a pena di nullità;
– conferma della possibilità di ricorrere al lavoro a tempo determinato fino alla durata massima di 36 mesi, ricorrendo nel caso all’istituto della certificazione, per la verifica della effettività delle esigenze che richiedono tale durata;
– valorizzazione dell’istituto della certificazione, la cui diffusione, in ogni caso rappresenterebbe lo strumento ideale per l’attuazione del premesso obiettivo di contemporanea garanzia della flessibilità (rilasciata all’autonomia delle parti, che individuano liberamente le ragioni – oggettive – che definiscono la durata del contratto) e della tutela (che sarebbe assicurata dal filtro della certificazione).
Normazione del lavoro stagionale
Occorre un provvedimento normativo che sia al passo con i tempi e con l’evoluzione del concetto di stagionalità, che rimuova le disparità di tutela createsi tra persone che svolgono lo stesso lavoro.
Che chiarisca che i dipendenti stagionali possano individuarsi anche con riferimento a quelli assunti nelle ipotesi di “stagionalità” (non di “attività stagionale”), recte “punte di stagionalità”, previste nei contratti collettivi.
Andrebbe anche chiarito che per detti lavoratori (assunti per “punte di stagionalità”, previste dai contratti collettivi) non si debbano applicare le causali per l’apposizione del termine di durata, esclusione ad oggi prevista per le sole attività stagionali (DPR n. 1525/63), nonché la maggiorazione contributiva (1,40%+0,50% per ogni rinnovo/proroga).
Apprendistato
L’obiettivo è quello di valorizzare maggiormente la formazione on the job attraverso l’affiancamento degli apprendisti da parte di tutor e personale specializzato, riducendo al minimo, o addirittura eliminando, gli adempimenti burocratici connessi alla formazione extra aziendale, prevedendo altresì forme di omogeneizzazione di tali contenuti formativi oggi eccessivamente diversificati dalle varie regolamentazioni regionali.
2. Consulenti: politiche attive
L’ottica di intervento dovrà essere quella di sperimentare una nuova metodologia di valorizzazione della rete dei servizi impegnati nell’erogazione di politiche del lavoro e, dunque, nuove forme di integrazione tra soggetti pubblici e privati, finalizzate al mantenimento e alla promozione dell’occupazione, fornendo così adeguato supporto e competenze specialistiche nell’ambito dei servizi di accompagnamento (e di riqualificazione) al lavoro, tanto alle imprese che ai lavoratori.
Attraverso questa strada si potrà arrivare ad una forma di “cooperazione attiva” tra soggetti molteplici che punti a un obiettivo comune: l’erogazione di servizi di qualità a tutti i destinatari della misura, attraverso un approccio cooperativo in cui gli attori coinvolti collaborano insieme in funzione degli obiettivi.
A tal fine sono diverse le possibili direttrici da seguire:
– nell’attesa di definire una nuova misura universalistica che copra i soggetti “esclusi” dalle misure di politiche attive in essere, reintrodurre l’Assegno di Ricollocazione per i percettori di NASpI (ad oggi esclusi) rendendolo obbligatorio, così da allargare la platea dei possibili beneficiari;
– intervenire sul Reddito di Cittadinanza, ridisegnandone gli scaglioni e il meccanismo di funzionamento che fino ad oggi ha precluso una fruizione corretta dell’AdR per i percettori del RdC;
– ripensare i sistemi di accreditamento dei soggetti erogatori delle misure di politica attiva, al fine di renderli più adeguati al momento storico e prevedendo la possibile fruizione a distanza degli interventi, così da facilitare un massiccio ricorso da parte dei beneficiari;
– al fine di non scoraggiare il ricorso alle misure di politica attiva da parte dei beneficiari, sottoporre i soggetti erogatori a valutazione periodica e rating pubblico;
– garantire la certezza di tempi, format, procedure di gestione, la cui assenza spesso influisce negativamente sui risultati delle misure e scoraggia il ricorso tanto da parte dei beneficiari che dai soggetti erogatori;
– creare un sistema informativo stabile su cui basare l’iter procedurale delle misure;
– provvedere a una revisione del costo standard per le attività a “processo”, tale da rendere sostenibili economicamente le iniziative per gli operatori;
– introdurre una importante dotazione per formazione e riqualificazione dei soggetti beneficiari;
– concedere un importante incentivo ai datori di lavoro che assumono i destinatari della misura, magari legato alle (oramai improcrastinabili) scelte di politica industriale necessarie al rilancio del sistema Paese;
– superare la logica degli “avvisi” e dei “bandi”, con misure strutturali, quantomeno per un periodo di tempo congruo, che consentano agli attori del mercato del lavoro una programmazione che possa tenere conto delle esigenze utili ad un’efficace intermediazione tra la domanda e l’offerta di lavoro.
3. Consulenti: ammortizzatori sociali, flessibilità e tutela del lavoro
L’Ammortizzatore Sociale Unico può costituire una misura di protezione del lavoro e di sostegno al reddito e, nel contempo, un link alla riqualificazione professionale e alla ricollocazione. Potrebbe essere strutturato in due ambiti riferiti, da una parte, a misure ordinarie e, dall’altra, a misure straordinarie. In estrema sintesi, lo schema dell’ASU potrebbe essere individuato nel seguente:
lavoratori beneficiari – tutti i lavoratori subordinati con la sola eccezione di quelli a domicilio, dei dirigenti e degli apprendisti di prima e terza tipologia;
datori di lavoro beneficiari – tutti, indipendentemente dal numero dei dipendenti in forza;
misura – come da previsione vigente;
massimale mensile – come da previsione vigente;
durata complessiva – come da previsione vigente, fatte salve durate differenziate per gli strumenti ordinari e straordinari;
contribuzione di base, addizionale e figurativa – secondo criteri di sostenibilità finanziaria di sistema;
sistema di pagamento – opzionale tra metodi del conguaglio o del pagamento diretto;
procedura sindacale – in tutti i casi, come da art. 14, D.Lgs. n. 148/2015 (da escludersi per eventi a carattere emergenziale da individuarsi con apposito Decreto Ministeriale da emanarsi entro 30 giorni dal testo normativo di riforma);
rapporto con assegno per il nucleo famigliare – sempre ammesso;
rapporto con la malattia – l’ASU, in ogni caso, una volta individuato il periodo di richiesta sostituisce sempre la malattia;
determinazione delle settimane – in tutti i casi secondo la previsione della circolare Inps n. 58/2009 da acquisire a termini di legge;
obbligo, per i lavoratori coinvolti, di partecipazione a percorsi di politica attiva per il lavoro volti alla riqualificazione professionale e alla ricollocazione.
La misura potrebbe poi essere implementata, ove ritenuto necessario, dalla bilateralità contrattuale ma sulla base di un’intelaiatura normativa stabile ed omogenea per evitare il proliferare di regolamentazioni differenti e quindi di complessa attuazione. Quanto
osservato deve comunque essere vagliato al cospetto di criteri di adeguata sostenibilità finanziaria.
Un salto al punto 5, ultimo nel documento “Proposte CdL Festival”, predisposto per il Festival del Lavoro online che si è appena tenuto.
5. Consulenti: contrasto a somministrazioni e appalti illeciti
Forme illecite di somministrazioni di lavoro a basso costo trovano l’humus adatto a proliferare in un contesto economico e produttivo che risente della crisi indotta dalla pandemia, favorite anche da un costo del lavoro troppo esoso e da un impianto normativo in materia poco adeguato.
Questi comportamenti, oltre ad essere vietati, destrutturano il mercato del lavoro, violando la normativa vigente in materia di
contratti, retribuzione e contributi, penalizzando i lavoratori e il sistema produttivo del Paese e, per di più, esponendo le stesse aziende al rischio di essere coinvolte negli illeciti in virtù del principio della responsabilità solidale degli appalti.
Con la reintroduzione dopo anni, ad opera del decreto “Dignità”, del reato di somministrazione fraudolenta che si aggiunge alle ipotesi sanzionatorie della somministrazione abusiva e di utilizzo della somministrazione illecita di manodopera, non si è riusciti ad arginare la diffusione del fenomeno, che non sembra risentire neppure dell’attività repressiva, anche perché è talmente dilagante che gli accertamenti
ispettivi non possono certamente interessare tutte le imprese che vi ricorrono.
Per contrastare efficacemente il fenomeno non può esistere la sola ricetta della repressione ma occorre una sinergia tra diverse azioni. Una sicuramente di tipo culturale, diffondendo la conoscenza del fenomeno, informando imprese e lavoratori dei rischi a cui vanno incontro.
L’altra di tipo normativo, ad esempio: vietando appalti di servizi per le attività principali di una impresa; introducendo una clausola di
salvaguardia retributiva e normativa per i lavoratori occupati in appalti endo-aziendali, cosiddetti interni, simile a quella esistente per i lavoratori dipendenti di agenzie di somministrazioni; prevedendo una norma che obblighi ad assicurare ai dipendenti dell’appaltatore un trattamento economico e normativo minimo (ferma restando la libertà di adozione del CCNL) pari a quello dei dipendenti dell’appaltante o a quello al cui rispetto sarebbe tenuto l’appaltante.
A sé tratteremo il paragrafo dedicato alla Formazione.