Contratti a termine, è referendum. Dai cittadini alternativa “secca”
Il quesito viene formulato nei termini di un’alternativa secca. L’attenzione della
Consulta
è tutta rivolta all’avvenuta interruzione delle buone pratiche derivanti da un principio che ha perso la sua natura
Può avere (avrà!) una portata massimamente impattante la sentenza della Corte costituzionale n. 14/2025, che ad inizio mese ha dichiarato ammissibile la richiesta di referendum abrogativo denominata «Abrogazione parziale di norme in materia di apposizione di termine al contratto di lavoro subordinato, durata massima e condizioni per proroghe e rinnovi».
Il quesito referendario riguarda l’abrogazione di alcune previsioni; nel dettaglio, degli articoli: 19, commi 1, 1-bis e 4; 21, comma 1, del D.LGS. n. 81/2015.
Questi attualmente consentono la stipulazione di contratti di lavoro a tempo determinato (anche la loro proroga e/o il rinnovo) fino a 12 mesi, senza dover fornire alcuna giustificazione; per quelli di durata superiore, sulla base di una giustificazione individuata dalle parti pur non prevista da Legge o da Contratti collettivi stipulati dai sindacati più rappresentativi a livello nazionale.
Le norme oggetto del quesito non rientrano fra le leggi per cui la Costituzione, all’articolo 75, esclude che si possa richiedere referendum abrogativo. Il quesito, inoltre, soddisfa i requisiti di:
– chiarezza;
– omogeneità;
– univocità,
richiesti per consentire all’elettore di esercitare una scelta libera e consapevole.
L’alternativa “secca” nel quesito referendario
La formulazione segue i termini di un’alternativa secca perché? Per il fatto che, da un lato, si chiede di abrogare le disposizioni vigenti, con conseguente estensione ai rapporti di lavoro di durata infrannuale dell’obbligo di giustificazione dell’apposizione del termine oggi sussistente per la stipulazione di contratti di lavoro di durata superiore all’anno e il necessario riferimento, per tutti i contratti a termine, alle sole cause giustificative previste dalla legge o dai contratti collettivi; dall’altro, si chiede di conservare la normativa vigente che, all’opposto, ne liberalizza l’impiego.
Per essere ancor più chiari, la richiesta è centrata sulla possibilità di tornare a espandere l’obbligo della causale giustificativa ai contratti di lavoro di durata inferiore a 12 mesi e sull’esclusione del potere delle parti di individuare, a fondamento della stipulazione di questi contratti, giustificazioni diverse da quelle indicate, per l’appunto, da Legge o CCNL maggiormente rappresentativi.
La decisione di ammettere il referendum proposto origina dall’andamento normativo sulla disciplina, ballerino e destinato a sconfessare la natura del disposto originario: un susseguirsi di interventi normativi non coerenti col principio fondamentale consacrato nell’articolo 19 del D.LGS. n. 81/2015 di eccezionalità del contratto di lavoro a tempo determinato rispetto al rapporto a tempo indeterminato, che è la regola.
Dal 2000 al 2010, con strascichi fino ad oggi, l’operata esclusione della necessità di indicare la causale per la stipula dei contratti a termine entro i dodici mesi ha aperto la strada alla liberalizzazione da cui non si è tornati indietro.
Ai posteri.
Dir. Alessia Lupoi
Redazione redigo.info