CNDCEC, Pronto Ordini sul trattamento IVA per attività di formazione

Nel P.O. 34/2023, il trattamento IVA da applicare alle attività di formazione.

Rientrano nel campo di applicazione dell’Iva (in caso affermativo, ricadono nel regime di esenzione dal tributo), le prestazioni di servizi relative:

a) ai corsi per la formazione obbligatoria a favore degli iscritti per i quali, spesso, gli incassi provenienti dalle quote di iscrizione risultano superiori ai costi sostenuti; b) ai corsi per la preparazione all’esame di Stato a favore dei tirocinanti, anche di Ordini limitrofi, per i quali i costi sostenuti dall’Ordine risultano notevolmente superiori agli incassi provenienti dalle quote di iscrizione?

In esito ad una consulenza giuridica chiesta dal CNDCEC alle Entrate, è stato per intanto precisato, ai fini della configurabilità del carattere commerciale dell’attività esercitata (peraltro, in piena coerenza con il dettato normativo unionale), che la commercialità è determinata sulla base di parametri oggettivi, verificando in concreto se l’attività venga svolta con i connotati dell’organizzazione, della professionalità, sistematicità e abitualità.

Oltre al profilo organizzativo, il carattere imprenditoriale di un’attività richiede anche l’obiettiva economicità dell’attività esercitata, che deve essere di per sé idonea a rimborsare i fattori della produzione impiegati mediante il corrispettivo ricavato dai beni e dai servizi prodotti o scambiati ovvero a realizzare un equilibrio gestionale fra costi e ricavi in modo che essa sia svolta a fronte di un compenso adeguato al costo del servizio reso.

Restano, invece, ininfluenti le finalità perseguite nonché la presenza o meno del fine di lucro, inteso nel senso di divieto di ripartizione anche indiretta del patrimonio e degli utili conseguiti, da destinare alla realizzazione delle finalità perseguite dall’ente.

Tanto premesso, per stabilire se l’attività di formazione svolta dall’Ordine nei confronti dei propri iscritti o dei tirocinanti, anche di Ordini limitrofi, rientri nel campo di applicazione dell’Iva occorre altresì indagare se detta attività possa essere inquadrata tra quelle esercitate in quanto “pubblica autorità” per le quali gli enti di diritto pubblico che le pongono in essere non sono considerati soggetti passivi, in presenza delle condizioni previste dall’articolo 13 della Direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto.

Sono attività poste in essere nella qualità di “pubblica autorità” quelle riconducibili ad atti e provvedimenti tipici delle autorità localmente preposte alla cura delle funzioni pubbliche. Quando, invece, tali enti agiscono in forza dello stesso regime cui sono sottoposti gli operatori privati, non si può ritenere che svolgano attività in quanto pubbliche autorità e, conseguentemente, devono essere considerati soggetti passivi ai fini Iva.

Dovranno quindi essere ricondotte nell’ambito della categoria delle attività svolte in veste di “pubblica autorità” quelle che costituiscono cura effettiva di interessi pubblici, poste in essere nell’esercizio di poteri amministrativi, fondate quindi sul cosiddetto ius imperii, mentre dovranno comprendersi nelle attività di natura commerciale quelle di carattere privatistico, espressione dello iure gestionis.

Il criterio per distinguere le attività degli enti pubblici rese in quanto “soggetti di diritto privato” da quelle rese dagli stessi in quanto “soggetti di diritto pubblico” è “il regime giuridico applicato in base al diritto nazionale” (cfr. Corte di Giustizia UE, sentenza del 14 dicembre 2000, causa C-446/98).

È necessario, pertanto, a tal fine verificare se il rapporto tra ente pubblico e soggetto con il quale detto ente opera è caratterizzato da poteri di natura unilaterale e autoritativa o se si svolga su base sostanzialmente pattizia attraverso una disciplina che individui, in via bilaterale, le reciproche posizioni soggettive.

L’esclusione dal campo di applicazione del tributo di tali attività si rende, tuttavia, applicabile fintanto che essa non provochi “distorsioni della concorrenza di una certa importanza”. L’entità della distorsione deve essere valutata con riferimento all’attività in quanto tale, senza che una simile valutazione abbia per oggetto un mercato particolare, e prendendo in considerazione non soltanto la concorrenza attuale, ma anche quella potenziale, sempre che la possibilità per un operatore privato di entrare sul mercato rilevante sia effettiva, non meramente ipotetica.

Ai fini della non assoggettabilità all’imposta, è pertanto necessario che “il soggetto pubblico svolga l’attività in veste di pubblica autorità e nell’ambito del regime giuridico pubblicistico che lo caratterizza”.

In base all’orientamento interpretativo delle Entrate, la disciplina agevolativa non può essere invocata per escludere la natura commerciale delle attività formative svolte dall’Ordine nei confronti dei propri iscritti dietro pagamento di corrispettivi specifici. Condividere tale interpretazione comporta escludere che l’attività di formazione rientri nelle attività di tipo istituzionale dell’Ordine o sia svolta in quanto “pubblica autorità”, e concludere per la rilevanza ai fini IVA delle anzidette attività formative.

A tal punto, occorrerebbe verificare se le prestazioni rese rientrino tra le operazioni esenti (art. 10, c. 1, n. 20) del d.P.R. n. 633/1972), secondo cui ricadono nel campo dell’esenzione dal tributo “le prestazioni … didattiche di ogni genere, anche per la formazione, l’aggiornamento, la riqualificazione e riconversione professionale, rese da istituti o scuole riconosciuti da pubbliche amministrazioni …”.

L’esenzione, in questo caso, è subordinata al concorso di due condizioni:

• che le predette prestazioni siano rese da istituti o scuole;
• che siffatti istituti o scuole siano riconosciuti da pubbliche amministrazioni.

Relativamente al primo requisito, la prassi amministrativa ha ripetutamente chiarito che al riferimento soggettivo (“istituti o scuole”) contenuto nella norma “deve essere attribuito valore meramente descrittivo. Conseguentemente, tutte le attività didattiche e formative sono suscettibili di beneficiare dell’esenzione dall’IVA, purché poste in essere da organismi riconosciuti da pubbliche amministrazioni.

In merito al secondo, l’Amministrazione finanziaria ha chiarito che il riconoscimento al quale è subordinata l’esenzione può essere reso, per ragioni di specifica competenza, da un’amministrazione pubblica che abbia sul soggetto riconosciuto poteri di controllo e vigilanza, e quindi anche da un’amministrazione diversa da quella scolastica.

È stata, così, riconosciuta l’operatività dell’esenzione nei seguenti casi:

• prestazioni rese da un istituto di addestramento professionale, riconosciuto dal Ministero del lavoro e, successivamente, dalla Regione;
• prestazioni rese dalle scuole sportive riconosciute dalle rispettive Federazioni sportive, organi del CONI (a livello più generale, la nozione di “insegnamento scolastico o universitario”, ai fini del regime di esenzione, non ricomprende invece i corsi di nuoto in quanto, pur perseguendo un obiettivo di interesse pubblico, costituiscono un insegnamento a carattere specialistico).

La ratio della disposizione di cui al richiamato articolo 10, comma 1, n. 20), del d.P.R. n. 633 del 1972 è quella di concedere l’esenzione non a tutti i soggetti che svolgono attività didattica, ma esclusivamente a quei soggetti che la pubblica amministrazione riconosce perché, sulla base dei requisiti posseduti (quali l’idoneità dei docenti, l’efficienza delle strutture e del materiale didattico, ecc.), sono in grado di offrire prestazioni didattiche aventi finalità simili a quelle erogate dagli organismi di diritto pubblico.

Le anzidette considerazioni restituiscono un quadro interpretativo piuttosto articolato che rende oggettivamente incerto l’inquadramento giuridico della fattispecie in esame.

Per conoscere l’interpretazione ufficiale dell’Agenzia e ricevere rassicurazioni sul corretto trattamento fiscale da adottare, l’Ordine potrà presentare, come è noto,
richiesta di consulenza giuridica all’Agenzia stessa.

In definitiva quale trattamento IVA alle attività di formazione professionale?

Per rispondere al quesito, intanto, il CNDCEC rappresenta che ai sensi dell’articolo 12 del dlgs n. 139/2005, il Consiglio dell’Ordine, tra le altre attribuzioni riconosciute dalla legge:

“d) cura la tenuta del registro dei tirocinanti e adempie agli obblighi previsti dalle norme relative al tirocinio ed all’ammissione agli esami di Stato per l’esercizio della professione;
e) cura l’aggiornamento e verifica periodicamente, almeno una volta ogni anno, la sussistenza dei requisiti di legge in capo agli iscritti, emettendo le relative certificazioni e comunicando periodicamente al Consiglio nazionale tali dati;


r) promuove, organizza e regola la formazione professionale continua ed obbligatoria dei propri iscritti e vigila sull’assolvimento di tale obbligo da parte dei medesimi”.

Tra le prerogative che la legge riconosce all’Ordine territoriale figura espressamente l’organizzazione dei corsi di formazione per gli iscritti e i tirocinanti.

Affinché tale attività possa considerarsi rilevante ai fini Iva è necessario che la stessa abbia natura commerciale, verificando in concreto se l’attività è svolta dall’Ordine con i connotati dell’organizzazione, della professionalità, sistematicità e abitualità nonché della sua obiettiva economicità, nel senso della sua idoneità a realizzare un equilibrio gestionale fra costi e ricavi.

A nulla rilevano, invece, le finalità perseguite nonché la presenza o meno del fine di lucro.

Qualora l’asimmetria tra i costi di organizzazione dei corsi di formazione e gli importi percepiti da iscritti e tirocinanti per la partecipazione ai corsi sia tale da far ritenere insussistente un nesso concreto tra la somma pagata e la prestazione di servizi fornita, mancherebbe, nella specie, quel carattere diretto che è necessario perché il controvalore percepito dall’Ordine possa essere considerato la retribuzione di detti servizi e perché questi ultimi costituiscano attività economiche.

Deve tuttavia ritenersi sussistente il carattere economico dell’attività nel caso in cui essa sia finanziata prevalentemente, oltre che dai fruitori stessi dei servizi, attraverso mezzi commerciali quali, ad esempio, attività di pubblicità o di sponsorizzazione.

Ricordata la difficoltà a ricondurre l’attività di organizzazione dei corsi di formazione tra quelle svolte dall’Ordine in veste di “pubblica autorità” – che costituiscono cura effettiva di interessi pubblici, poste in essere nell’esercizio di poteri amministrativi, fondate quindi sul cosiddetto ius imperii – e una volta che fossero ritenuti insussistenti, nella specie, i connotati propri delle attività di natura non economica o istituzionale, alla luce dei criteri rilevanti per l’applicazione della disciplina in materia come individuati dalla giurisprudenza e dalla prassi amministrativa sopra richiamate, sembra potersi concludere per la rilevanza Iva dell’attività di formazione in oggetto e per la riconducibilità della stessa nel regime di esenzione di cui al n. 20) dell’articolo 10, primo comma, d.P.R. n. 633 del 1972, in quanto svolta dietro riconoscimento da parte di un ente pubblico, qual è il CNDCEC ex articolo 6, comma 3, del decreto legislativo n. 139.

Sitografia

www.commercialisti.it