L’intervista. Quanto conta il digitale? Italia terzultima ma con speranza
Il nostro Direttore, Alessia Lupoi, intervista Fausto Turco, CEO in SI-NET e in MYDIGIT, Presidente dell'Accademia Commercialisti
Riprendo, Fausto, il tema del nostro recente incontro in occasione dell’evento del 6 luglio 2023 a Roma, durante il quale veniva sviluppato, in ambito EggupLAB (progetto di Eggup/Zucchetti Group che si configura come un piccolo centro di ricerca interno e come un osservatorio divulgativo sulle soft skills), il tema, scelto dall’Advisory Board composto da nove esponenti del mondo accademico e imprenditoriale, della multipotenzialità. Lo faccio virando sugli aspetti peculiari della tua attività.
Lavorare con la tecnologia digitale in territorio italiano incontra resistenze nei processi formativi? Più in generale, nel supporto alle dinamiche HR in azienda o ai professionisti?
Sì, Alessia. Incontra resistenze. Vengono in aiuto i numeri: uno studio del Forum Ambrosetti di settembre, dal quale emerge che solo il 31,9% degli imprenditori intervistati considera il cloud come risorsa strategica. Dall’indicatore Digital Economy and Society Index della Commissione Europea, l’Italia risulta terzultima in Europa per il capitale umano digitale. E’ un potente freno alla digitalizzazione e in questo sta la resistenza nei processi formativi, perché il nostro tessuto imprenditoriale in gran parte ritiene di poterne fare a meno.
Con l’irruzione feroce dell’AI (Artificial Intelligence), se il Paese Italia e la cultura imprenditoriale che ne proviene non scattano in avanti per investire in formazione sarà ancora più difficile colmare il gap digitale con Stati membri della UE che dispongono della metà del nostro PIL.
Certo che incontriamo resistenze. L’imprenditore non ritiene necessario, non ritiene strategico formare al digitale. Senza un cambiamento di mindset, culturale, senza un nuovo paradigma sarà complicato attrarre talenti dalle nuove generazioni. Resta il lamento, la litania di avere problemi di capacity per svolgere le attività.
Opportunità, lavoro, giovani vogliosi non mancano. Manca piuttosto un cambio culturale dell’imprenditoria e della managerialità italiana.
Avendone desiderio, riconoscendone l’importanza vitale, avremmo anche tempo di organizzare una simile rivoluzione mentale?
Dobbiamo fare in fretta. In fretta per tre ordini di motivi, tutti parimenti centrali: accrescere il capitale umano digitale; dotare il Paese di una politica industriale del digitale; avanzare decisi con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr).
Il capitale umano digitale è una emergenza italiana, come dice bene il report del Forum Ambrosetti.
L’HR. Credi, Fausto, che la figura si sia evoluta, che il ruolo si sia fatto moderno?
E’ una ulteriore criticità: l’HR in Italia è visto ancora come la figura dedicata ai cedolini, al recruiting, ai contratti. Concetto originario che resiste solo qui, da noi.
Viene vissuta quale unità necessaria per svolgere compiti burocratici, quando dovrebbe interloquire direttamente e costantemente con i C Level aziendali, e allinearsi costantemente con gli altri reparti, dall’Amministrazione al Marketing.
Va intesa come una Business Unit importante tanto quanto la Finance. In assenza di capitale umano è difficile far quadrare i conti, far tornare i numeri.
Senza far passare un messaggio negativo o apocalittico, concludo dicendoti, Alessia, che conosco imprenditori e realtà produttive davvero illuminati e consapevoli che la formazione del capitale umano sia l’unico fattore per restare competitivi.
Penso, nonostante la fotografia, che abbiamo ancora ed in questo preciso momento, una grande opportunità. Siamo Italiani, siamo creativi. Possiamo sfruttare questa occasione unica, investire nella formazione digitale per fare la differenza a livello europeo e mondiale.
Alessia Lupoi