Covid-19, infezione come infortunio sul lavoro. Che fa il datore?

Si ricorderà che il Legislatore (art. 42 dl n. 18 del 17.3.2020) ha equiparato l’infezione da Covid-19 all’infortunio sul lavoro.

Se tanto è, quali azioni devono essere assunte dal datore di lavoro per mettere in sicurezza i luoghi di lavoro? e quali obblighi incombono sul lavoratore? Ai due quesiti risponde la Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro nell’Approfondimento del 22.12.2020.

Covid-19, azioni del datore di lavoro

Circa il primo aspetto, il datore di lavoro dovrà ottemperare al disposto di cui all’art. 2087 c.c., adottando “le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica” dei lavoratori.

Protocollo di regolamentazione

Adottato a fine aprile il “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus COVID-19 negli ambienti di lavoro”, la considerazione della Fondazione Studi nell’Approfondimento di ultima emanazione è che tali misure abbiano comportato spese cospicue per i datori di lavoro e, in alcuni casi, anche lo stravolgimento dell’organizzazione del lavoro, non assicurando l’effettiva eliminazione dei contagi sul luogo di lavoro.

Ciò premesso, per garantire la sicurezza delle sedi di lavoro, il datore dovrebbe poter pretendere che ciascun dipendente si sottoponga a vaccinazione (aderendo al piano nazionale) certificando solo così l’incolumità del singolo e dei suoi colleghi.

Ma il vaccino contro il COVID-19 può essere considerato una di quelle misure necessarie a tutelare l’integrità fisica dei prestatori di lavoro che il datore è tenuto ad applicare in forza del precetto contenuto nell’articolo 2087 del Codice civile?

Se il lavoratore non vuole sottoporvisi? Può il datore di lavoro pretenderlo? E quali provvedimenti può adottare qualora egli non intenda vaccinarsi e diventi un potenziale pericolo per i propri colleghi?

Molti quesiti neppure sciolti dal Dlgs n. 81/2008 – Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro – che si limita ad ordinare al medico competente di fornire “adeguata informazione […] sui vantaggi ed inconvenienti della vaccinazione e della non vaccinazione” e, ancora in tema di vaccinazioni, ribadisce l’obbligo di informare i lavoratori su “importanza dell’immunizzazione, vantaggi e inconvenienti della
vaccinazione o della mancata vaccinazione, sia essa preventiva o in caso di esposizione ad agenti biologici per i quali esistono vaccini efficaci”.

Soltanto con riferimento all’esposizione ad agenti biologici, l’art. 286 sexies del Testo Unico sembra indicare l’obbligo di vaccinazione a carico del datore di lavoro, quantomeno nel settore dell’assistenza sanitaria. Si tratta, tuttavia, di una previsione che contempla condizioni di rischio specifiche, immediatamente riconducibili agli agenti nocivi presenti in quei determinati ambienti di lavoro.

Allo stato attuale, pertanto, non si rinvengono precetti normativi per effetto dei quali si possa immediatamente ritenere la possibilità per il datore di lavoro di richiedere la vaccinazione quale misura obbligatoria di prevenzione e quindi condizione di accesso sui luoghi di lavoro.

Cionondimeno, concludono i CdL, considerate le esigenze premesse e la già manifestata intenzione da parte del Governo di prevedere a determinate condizioni l’obbligatorietà della vaccinazione, questa potrebbe essere oggetto di una specifica previsione per i luoghi di lavoro, innanzitutto per quelli in cui, per il tipo di lavorazione e/o organizzazione o ancora dei locali, risulti altrimenti più difficoltoso il rispetto delle altre misure anti-contagio.